la simbiosi tra il pilota e la sua Vespa, rappresenta un connubio indissolubile, iniziato nel lontano 1946, quando Giuseppe Cau era poco più di un ragazzino alle prime armi. Classe 1928, romano di nascita, pontederese d'adozione.
Giuseppe Cau fu chiamato in Toscana da Enrico Piaggio in persona, dopo averlo visto correre per le strade della capitale.
Oggi è l’eroe del Reparto Corse della Piaggio, quello capace di dimostrare che, la Vespa poteva anche vincere le gare, oltre che mostrare la sua bellezza ed eleganza nelle strade nei film e nelle pubblicità.
A 18 anni, viveva a Roma e lavorava presso l'officina meccanica di
Luciano Moroni. La sua mansione era quella di trasformare in veicoli civili le
moto militari inglesi Norton, Triumph. BSA e Matchless recuperate nel deposito
di Aversa costituito dal Ministero della Ricostruzione appositamente per
favorire il recupero dei residuati della grande guerra. Riparare e testare
scocche e motori era il suo mestiere ma la velocità era la sua grande
passione. "A quell'età ero proprio un pischelletto - racconta - un tipo
bassino, fisico gracile, mingherlino, 42 kg di peso". Piccola statura,
fibre potenti, una corporatura snella e tosta da peso piuma al massimo della
forma: le sue armi vincenti. Moroni, uno dallo sguardo che arrivava
lontano, lo intuisce subito. "Giuseppe, il tuo mezzo ideale è la Vespa
di Piaggio. Piccoletto come sei, sopra a quella a te chi ti ferma?".
Così quando arrivò in officina una Vespa da riparare Giuseppe chiese il permesso
al proprietario di utilizzarla per la gara al Lido di Ostia, organizzata da
Luigi di Gennaro, il primo concessionario Vespa del Lazio. Partecipò così alla
sua prima competizione e, nonostante avesse in dotazione una Vespa da turismo,
si piazzò al secondo posto, sbaragliando esperti piloti in sella a vere Vespa da
competizione.
Luigi di Gennaro notò le sue grandi doti e lo prese a lavorare con sé perché
potesse correre per i colori della sua concessionaria. Gli mise a disposizione
una Vespa e da lì in poi non ce ne fu più per nessuno. Dal '47 vittorie
a ripetizione: la Rocca di Papa, la Monte Mario, la Salita della Merluzza, la
Caracalla. Stesso copione, tutte gare senza storia.
A quel punto in giro non si fa che parlare delle gesta del ragazzino romano che
sa trasformare il velocipede del momento in un missile con la scocca. Le parole
arrivano alle orecchie di Piaggio, che un secondo dopo ha ovviamente già deciso
il da farsi:"Questo ragazzetto - dice a Di Gennaro - dobbiamo farlo
venire a Pontedera e affidargli lo sviluppo Vespa". E infatti: "Sono
arrivato a Pontedera nel '48 ed eccomi qui, non me ne sono più andato. Corremmo
fino a quando si vinse tutte quelle medaglie d'oro alla Sei Giorni del '51.
"Chiudiamo in bellezza", disse il dottor Piaggio. Ci premiò personalmente;
quando venne a stringerci la mano, disse:"A salutare voglio incominciare
dal più piccolo e più bravo" e mi abbracciò. Non me la sono più dimenticata,
questa frase".
A Cau "il dottore" piace ricordarselo a spasso per le vie del centro di Roma -
di quella fantastica Roma - in sella ai primi esemplari della sua creatura.
"In quegli anni, quando il dottor Piaggio aveva voglia di fare un giro
in Vespa in centro, io gliene caricavo una sull'Ape e dalla concessionaria di Di
Gennaro gliela portavo a piazza Barberini. Lui si faceva il suo giretto - di
solito tra piazza Barberini e Via Veneto - poi io caricavo di nuovo la Vespa e
la riportavo in concessionaria. A quei tempi, nel '47, di Vespa mica se
ne vedevano tante, in giro. Lui era sicuro di fare un figurone: e infatti, vip o
non vip, quando il dottore passava, si voltavano a guardare".
Dopo il '51, finite le competizioni, Giuseppe si dedicò all'assistenza
tecnica dei veicoli da gara e al perfezionamento delle Vespa da
turismo, migliorandone continuamente sicurezza e prestazioni, grazie al grande
bagaglio di esperienza conquistato sul campo. Inventò e realizzò anche
una rudimentale ma funzionale visiera antiappannamento che copriva
completamente viso e collo per evitare fastidiose e dannose infiltrazioni di
acqua e gelo durante le prove in strada. Ma non solo. Entrò a far parte
della prima squadra acrobatica Vespa. "Girammo tutta Europa per le esibizioni.
Numeri a metà strada tra la guida e l'atletica: gambe per aria, rannicchiati sul
portapacchi, in equilibrio sul manubrio... Non ci insegnò mica nessuno, imparammo
da noi. Eravamo sei o sette, a far le acrobazie".
Senza dubbio se il destino della Vespa non avesse incontrato quello di Giuseppe
Cau la sua storia non avrebbe avuto lo stesso splendido percorso. E nemmeno la
vita privata di Giuseppe sarebbe stata la stessa. Infatti è proprio durante le
prove su strada della Vespa che all'età di ventidue anni Giuseppe incontrò per
la prima volta la bella Liliana, appena sedicenne. Lei, ogni giorno, si sedeva
sulla soglia di casa davanti alla strada aspettando il passaggio di quel
fascinoso cavaliere in sella alla Vespa. E un bel giorno, finalmente il
ragazzo dei suoi sogni si fermò da lei, i loro sguardi s'incrociarono e fu amore
a prima vista. Nel '51, dopo appena un anno da quel primo incontro,
alla fine della mitica Sei Giorni di Varese, Giuseppe torna vittorioso dalla sua
principessa e la prende in sposa suggellando anche il sogno d'amore.
Giuseppe Cau è stato ed è tuttora una bellissima persona.
Perfettamente in forma (come si conviene ad un pilota leggendario), lo
si può incontrare al Museo Piaggio di Pontedera. E' possibile
intrattenersi con lui per ascoltare i racconti coinvolgenti delle sue
rocambolesche avventure vespistiche e condividere stupendi momenti di storia
della Vespa con colui che quella storia ha contribuito a farla diventare un
mito. Non a caso è l'unico uomo al mondo ad aver ricevuto il titolo di
Cavaliere della Repubblica per meriti vespistici.